Poiché adunque falsamente la mia fama ti sei sforzato di offendere, più non iscrivermi alcuna cosa, ma scegli un luogo al certame idoneo e sicuro: io porterò le armi per ambidue. E affine che più in avvenire di alcuna cosa non ti vanti temerariamente a mia contumelia, in voce né in iscritto, chiamo in testimonio Dio e gli uomini, che da me non dipende che la controversia tra noi diffinita non venga con singolare certame. Sta sano. Parigi, il quinto giorno delle calende di aprile dell'anno MDXXVIII.
Carlo, imperatore dei Romani designato, re della Germania e Spagne, a Francesco, re de' Francesi, salute.
La lettera tua, colla data del quinto giorno delle calende di aprile, recommi Gienna, araldo tuo, il dì sesto degl'Idi di giugno, dopo cioè un lungo intervallo, alla quale le stesse cose a un dipresso risponderò che già dette aveva alla stesso araldo. Quanto a quello che tu ora scrivi, che cogli ambasciatori e cogli araldi che a me mandasti intorno alla pace, io mi sia vantato di alcune cose che tornavano a tua contumelia affine di scusarmi, io né mai vidi alcun tuo araldo, fuorché quello che venne da me in Burgos, affinché colle parole a noi la guerra intimasse, né ragione vi aveva che io mi scusassi con te, che mai ingiustamente offeso non aveva: quanto a te, se pure niun'altra cosa, certamente la tua stessa colpa ti accusa e ti condanna. Quanto poi alla fede che data mi avevi, e che tu dici che io ora reclamo, la cosa è come tu dici; perciocché reclamo quella fede che a me con un trattato desti in Madrid, che tu esistente in mio potere, come mio prigione, pigliato in giusta guerra, saresti tornato, qualora, fatto libero, non avessi adempiuto i patti e le condizioni in quel trattato accettate, come lo attestano la scrittura pubblica e la soscrizione fatta di tua mano.
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