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      Le Finanze non vengono da me considerate sotto lo stesso aspetto che vengono prese dal maggior numero; io considero che, siccome le imposizioni e l'uso delle pubbliche entrate dipende dall'arbitrio del sovrano e del dipartimento delle sue finanze, così ogni individuo che ha delle possessioni ed ha mezzi di procurarsi la sussistenza nel paese, non dee confidare con cieca fiducia il suo patrimonio lasciatogli dai parenti o acquistato col suo sudore e industria nelle mani del sovrano; ma al contrario deve soltanto contribuire ciò che è assolutamente necessario per mantenere l'autorità, la sicurezza, l'amministrazione della giustizia, l'interno buon ordine e l'avanzamento di tutto il corpo, del quale ognuno forma una parte. Io credo adunque che, eccettuati i surriferiti oggetti, il monarca non debba prodigare nulla, ma che debba levare le contribuzioni nel modo meno gravoso, e badare al bene dello Stato in tutte le sue parti; ch'egli sia obbligato di render conto a tutti e a ciascuno individuo dell'uso delle finanze, e debba rinunziare per fino alla predilezione verso certe persone, anzi verso gli stessi bisognosi, sebbene sia questa una delle principali virtù di chi è benestante, perché il sovrano non è che un puro amministratore delle rendite dello Stato; e nel resto, non gli è lecito di soccorrete i bisognosi che col suo proprio patrimonio, in qualità di particolare.
      Che se, dopo d'aver provveduto all'esigenza della monarchia in tutte le parti, potesse il principe fare delle riguardevoli diminuzioni nelle imposte, egli è obbligato di farlo, mentre ciascun cittadino non è obbligato di contribuire che per il puro necessario e non per il superfluo dello Stato.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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