[2r] Tu m'hai più volte ricerco, Giovanni mio, che sia contento scrivere tutta la gita mia d'Alamagna distintamente. Io insino a qui te l'ho negato, iudicando che non meritassi essere scritta, ma che bastassi parlarne quando mancassi ragionamento. Ma instando tu al continuo, non ho potuto contradire come quello che alli amici ogni cosa concedo, e massime a te. Scriverrò, adunque, tutti e' luoghi dove sono stato, e non solo le città e castelli, ma li borghi e minime ville, e quello mi sia accaduto e con chi abbi parlato e di che. E, se ne sarò ripreso, tu ne sarai causa che, me non volente, hai constretto a scrivere.
Alli 27 di giugno 1507 partì' di Firenze con quattro servitori a cavallo. E perché disegnai non passare a Bologna, per essere quella infetta di peste, feci la via di Barberino, e quivi mi condussi la mattina a desinare, che era domenica. L'oste dove mi fermai era fiorentino, chiamato Anselmo di ser Bartolo e, per essere ridotto in povertà, col fare osteria s'ingegnava intrattenere sé e la famiglia sua.
Come ebbi mangiato, sentì' per la villa suono di tamburi e tumulto di gente. [2v] Domandai l'oste che cosa fussi. Rispose che il giorno si trovava quivi il conestabile del battaglione e che tutti e' fanti del paese s'avevono a ragunare in quel luogo per fare la monstra. Onde io, pensando di passare il caldo con qualche ragionamento, li dissi: "Anselmo, e l'età e l'arte ti debbe avere fatto e discreto et esperto. E però vorrei mi dicessi il vero se tu iudichi che l'avere introdotta questa ordinanza e dato l'arme a questi fanti, chiamati battaglioni, sia a proposito della città nostra o no".
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