Et in questo tempo molto meglio comprese l'amore che la donna gli portava; e con cenni e con parole gli monstrò che non manco ne portava a lei e che presto la trarrebbe d'affanno.
E chiamato un giorno messer Lodovico in luogo remoto, con una voce piena d'affezione e gravità, li disse: "Perché io vi ho sempre stimato come padre, non vorrei usare li medesimi termini con voi e cose vostre, che noi altri medici usiamo comunemente con li altri. Le quartane sono mali molto lunghi e de' quali e' medici cavono grande emolumento. Ma Avicenna mette un rimedio molto presto e salutifero, e quando voi vi disponiate su, sì io ve lo dirò: e questo è di fare qualche gran paura allo infermo. E la ragione c'è, molto evidente, perché tali febbre procedono il più delle volte da umori freddi, e' quali, né con cristeri né con medicine, si possono muovere, ma il timore grande è sì potente che gli manda tutti sottosopra. Ma [5v] bisogna avere gran rispetto che la paura non fussi di qualità che traessi lo infermo del cervello: e però è necessario che quello a chi è commesso questa opera, sia e pratico e prudente".
Al iurisconsulto piacque assai questo parlare, come a quello a chi rincresceva la spesa delle medicine e del medico, e rispose: "Mastro mio, io non so che merito vi possa rendere di tanta vostra affezione. El rimedio mi piace assai perché è scritto da' vostri dottori et è secondo la ragione. Ma poiché avete durata tanta fatica, voglio pigliate ancor questa di far tale paura alla Dianora".
Il mastro si scontorse un poco dicendo: "In verità malvolentieri piglio tale assunto, ma, per un tanto dottore come voi, son forzato a fare ogni cosa è di bisogno.
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Lodovico Avicenna Dianora
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