Accompagnammoci insieme e ci posammo per desinare all'osteria sopradetta, la quale era presso all'Adice e nuova e pulita; ma in quella non trovammo altri che una fanciulletta d'anni quattordici. E, volendo desinare, non potemmo avere altro che uova sode ancora che fussi domenica; il vino era assai buono. E noi mangiavammo fuori al fresco sotto una pergola di melo, come s'usa in Alamagna, quando giunse quivi el cavaliere del capitano di Trento che andava uccellando et, ancorché fussi tedesco, parlava molto bene italiano. Dolemmoci con lui che il primo alloggiamento che avammo fatto in terra tedesca c'era riuscito assai cattivo.
Lui disse: "Non vi maravigliate di questo, perché l'oste qui suole tenere chi va a torno molto bene, ma li è accaduto a questi giorni uno infortunio per il quale è suto necessario partirsi di qui con la famiglia, altrimenti saria capitato male. Lui ha nome mastro Antonio da Tremino. [27v] E sono quattro fratelli di detto luogo, divisi l'uno dall'altro, e stanno assai commodamente di roba. Detto mastro Antonio aveva dato moglie a un suo figliuolo una da Bolgiano, la quale è così bella cosa quanto abbi questa valle. Et il marito, benché sia giovane, è brutto e disadatto in modo che ella gli portava poco amore. Capitava qui spesso un nipote di mastro Antonio, detto Clemente, giovane pulito e bello, el quale cominciò a porre amore alla fanciulla che si chiamava Apollonia. Et in effetto s'innamororono l'uno dell'altro. E, non trovando modo come potessino essere insieme, rimasono che martedì passato, che era il dì di s. Pietro, l'Apollonia fingessi d'aver male per non andare alla festa a Marano dove il marito andrebbe da sé, e che Clemente venissi la notte e con una scala salissi alla sua finestra, e che quivi starebbono tanto insieme quanto volessino, ché altra via non v'era perché il marito, che n'era geloso, sempre, quando si partiva, la serrava in camera colla chiave.
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