E però voi non vi maravigliate se non siete stati trattati come vi si conveniva".
Noi stemmo poco, dopo le parole del cavaliere, a montare a cavallo e la sera ci fermammo a un borgo detto Erce assai buono. L'osteria bene assettata e per ostessa trovammo una gentil fanciulla. Ponemmoci a cena [28v] Luca, Borso et io e, secondo me, fummo trattati bene.
Né a pena avammo la cena finita che venne il famiglio di Borso con un maniscalco del borgo e disse al padrone che avea fatto mettere un ferro nuovo al cavallo e che dessi al maestro quattro crazie. Questo Borso era il più iracundo uomo che io praticassi mai e, se bene faceva al presente l'essercizio di mandatario e tramatore, diceva essere stato soldato e tagliava e' nugoli. Et, udito quello gli diceva il famiglio, né avvertendo che era vicino a Italia a una giornata e che quivi intendevono tutti italiano come lui, cominciò a saltare e bestemmiare divotamente, con dire che amazzerebbe e taglierebbe e che aveva a essere l'utriaca de' tedeschi. E sempre aveva la mano in sulla spada, in modo che il maniscalco e certi altri che v'erono, rispondendo certe poche parole in lor lingua, si partirono.
Borso rimase sempre sbuffando e diceva al famiglio che non voleva gittare e' danari, e che bisognava monstrare il viso alli uomini come avea fatto lui. E, stando in su queste parole, udimmo per la villa suoni di tamburo. Io pensai lo facessino per festa, sendo domenica, ma presto comparsono nella stanza, dove eravammo, circa cento fanti, armati come se avessino a combattere con corsaletti, alabarde e scoppietti.
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