Feci domandare di che male fussi morta e mi fu detto di peste, in modo che rimasi mezzo attonito e subito mi partì' e del continuo mi pareva aver la morte direto. Pure la fatica del cavalcare mi fece dimenticare la peste e massime perché andai tutto giorno per vie piene d'acqua. E la sera tardi alloggiai a una casa sola, detta Paur, che in lingua nostra vuol dire villano, la quale era tutta di legname. Né v'erono stalle e però bisognò che i cavalli stessino fuora. Io volli e mangiare e dormire presso a loro con li miei servitori. E mi venne ben fatto perché, in su la mezzanotte, s'apiccò il fuoco nella osteria et arse tutta, benché non vi ardessi che un prete tedesco che avea tanto beuto che non si destò a tempo. [34r] E lui fu causa dell'arsione, ché accese un moccolo per dire l'uficio e si addormentò sanza spegnerlo. Il fuoco, trovando la casa di legname e calda per il sole, in una ora ogni cosa consumò.
Partimmi la mattina e non ebbi a fare conto perché quivi non era restato né oste né ostessa. Et andai a desinare a un castelletto in sul Reno chiamato S. Pietro. Quivi era il dì, come interviene ne' paesi nostri, che certi scioperati stanno in su l'osterie a parlare con chi va a torno. Uno vecchio, che diceva essere stato già servitore del magnifico Pietro di Cosimo de' Medici, cittadino principale della città nostra a' tempi suoi, e per aver inteso li discendenti suoi, per fazione civili, esser suti fatti essuli da Firenze, era diventato inimico a tutti e' Fiorentini. Et avendo saputo da un de' miei che ero fiorentino, non restava di mordermi e dire che li Fiorentini furono sempre inimici all'imperatori, e che ordinorono già che fussi dato il veneno a Enrico terzio nel sacramento, e che al presente ero mandato per ingannare Massimiliano.
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