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      Lo Imperatore deliberò andarlo afrontare e si mosse d'Augusta col suo essercito. Il Conte, quando intese lo essercito inimico avicinarsi, conoscendo non essere pari alle forze dell'Imperatore, non li parve da mettere a pericolo sé e li suoi cavalli, ma volle che li fanti boemi facessino esperimento della fortuna. E disse loro che si voleva mettere in aguato con li cavalli per assalire [41v] poi lo essercito dell'Imperatore, quando fussino insieme alle mani. E con questo modo partitosi, si ritirò co' cavalli al sicuro. Lo Imperatore col suo essercito assaltò e' boemi, e' quali combatterono virilmente; ma, sendo di numero inferiori e non avendo cavalli, furono constretti a cedere e di nove mila non ne campò che cinquecento. Il Conte, inteso il caso, cercò per mezzi placare lo Imperatore e, lasciato tutto quello teneva della eredità del duca Giorgio et una gran parte del suo proprio, con dificultà ottenne la pace.
      Queste e simili altre novelle mi diceva tutto giorno l'oste mio, le quali mi facevono passare il tempo. E bisognava, perché lui non aveva lingua né italiana né latina, che le dicessi in tedesco e poi mi fussino riferite in italiano.
     
      Accade, nel tempo che ero quivi, a un medico cosa da volerla intendere. Costui avea nome mastro Enrico et era stato a medicare in Venezia, et essendo in medicina et in astrologia ben dotto, aveva ragunato molti danari. E già vecchio d'anni sessantacinque, s'era ritornato nella patria, murato una bella casa e comprato possessione. E perché era in ottima valetudine e buona prosperità di corpo, aveva preso donna assai giovane, ma era suto ingannato da chi aveva condotto il parentado: perché, volendo moglie bella, l'aveva avuta bruttissima e di qualità che non se ne contentava punto.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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