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      Et intendendo che Matteo era servitore del signore di Camerino et avendo udito dire più volte della Sibilla cose grande, lo pregava gnene dicessi il vero. Matteo, accortosi che il prete era semplice, li diceva le maggior bugie del mondo e di qualità che quelle del Meschino sarebbono parse un niente, [44v] et affermava essere stato nella stanza della Sibilla et uscitosene che a pochissimi riesce. E tanto infiammò colle parole il prete che si dispose a ogni modo volerci seguire perché Matteo lo conducessi là. Al quale parve avere messo mano in pasta e si escusava dicendo che aveva che fare assai in Alamagna e che era per starvi molti mesi. In effetto non gli valsono escuse né parole a fare che il prete non fussi a cavallo quando noi; e seguitò poi Matteo insino in Italia. E pel cammino n'avemmo sempre buona compagnia, e ci faceva trovare buone osterie e spendere manco che li altri. La sera, il prete ci voleva condurre a un castello detto Bibrac, ma, sopragiunti dalla notte, ci fece alloggiare in casa un villano suo amico, lontano un miglio da detto castello.
      Questo villano aveva una bella moglie la quale doveva esser piaciuta al prete altre volte che v'era passato. E la sera non se li partì mai da torno né fece altro che ridere e motteggiare con essa. Et, avvedutosi che nella stufa era a nostro modo una zana da tenere fanciulli che poppano, stimò che la donna la notte avessi a capitare in questa stufa. E però disse al villano che volentieri, per darli manco molestia, dormiremmo nella stufa.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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