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      Era, oltre a questo, fuor di misura voglioloso e, sendo di settembre, si ricordava dell'uve e de' fichi d'Italia e mai domandava se non se ne potessi avere. Messer Antonio, accortosi di questo, domanda una sera un suo servitore chiamato Salimbene, astuto quanto el diavolo, se fussi possibile trovare fichi in quelle parte, perché n'arebbe gran voglia. "Come!" rispose Salimbene, "e' ne son portati ogni mattina a vendere, ma, per essercene gran carestia, mai si conducono alla piazza perché sono venduti prima; e bisognerebbe tenere uno alla porta che ne comperassi quando sono recati."
      Deifrido, udito il ragionamento, s'offerse di starvi lui la mattina sequente. E così l'altra mattina vi stette insino a nona et i fichi non comparsono. E, parendoli già ora di desinare, se ne tornò a casa e disse non avere veduti fichi. Rispose allora Salimbene: "A che porta se' tu stato?". E dicendo lui: "A quella del ponte", messer Antonio cominciò a gridare e dire a Deifrido ch'era uno scimunito; e come lui voleva che dalla porta del ponte che viene di verso a' monti, venissino e' fichi, e che bisognava stare a quella [52v] che viene di verso il piano. Tanto che Deifrido, dalle grida stordito, andò all'altra porta e vi stette insino a sera, che non vidde né uva né fichi. E così il povero uomo che poco altro nella Magna desiderava che mangiare, fu tenuto con questa arte digiuno insino alla notte.
      Un'altra volta el detto Salimbene, dormendo in una medesima camera con Deifrido, apostò a punto il luogo dove lui dormiva.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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