Quanti pessimi tiranni in Roma [59v] si viddono! Quanti scelerati e pazzi in Roma dominorono! Quante volte la republica in mano di falliti e rovinati venne, insino che Costantino, d'Italia partito, non più una parte d'essa, ma tutta in preda a più popoli barbari la lasciò, a Unni, Eruli, Vandali, Gotti e Longobardi! Et essa Roma, da loro presa, fu in tutto messa in preda e desolazione; et il resto d'Italia fu guasto, rubato, dissipato et arso.
E così dipoi successivamente spesso li è accaduto; in essa sono venuti Galli, Germani, et altri popoli, Federigo Barbarossa, Federigo secondo, tanti Ottoni et Enrici, che quella, quando un poco s'è riavuta, di nuovo hanno prostrata. E se qualche volta cinquanta anni da' barbari è suta libera, non è che non abbi avuto continua suspizione d'essi e che tra sé medesima non si sia insanguinata.
Non è dunque maraviglia se ne' nostri tempi sono accascate le medesime cose che altre volte sono state. Non s'hanno per questo li uomini a ritrarre, per quanto è lor possibile, dalli studi et essercizi consueti, perché Iddio e la natura, che questa variazione lasciano seguire, niente fanno in vano e vogliono che questo mondo, quanto dura, del continuo più bello e più delettabile diventi. Né questo seguirebbe se li uomini, impauriti delle guerre, dubitando della morte, a niente altro che a dolersi attendessino. E però noi, che in questi tempi siamo, imitando e' passati che in simili travagli [60r] e forse più gravi si sono trovati, non desisteremo da fare quelle opere indicheremo a proposito: et io non desisterò dal mio scrivere.
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