Era già l'autunno passato e ne veniva il verno, e massime in Alamagna dove li freddi cominciono prima e durano più che in Italia. E per questo lo Imperatore, al principio di novembre, volle partirsi dalli monti e ridursi alle pianure in Svevia, et ordinò che il Legato e li altri oratori lo seguissino. E però messer Antonio da Venafro et io, a mezzo novembre, ci partimmo d'Ispruc con freddo grande e neve, e ci fermammo la sera a Delfo che è un buon borgo, distante da Ispruc quattro miglia.
Nella medesima osteria dove noi, erano la sera alloggiati uno archidiacono d'Erbipoli, che andava a Roma, et uno prete da Santes vicino al Paese Basso che veniva da Roma, dove era stato un tempo cappellano del cardinale di Pavia, et infastidito de' costumi della corte se ne tornava a casa. E come accade che chi vuole andare in un luogo volentieri parla e domanda quelli vi sono stati e che di quivi di poco si partono, l'archidiacono interrogava il cappellano di molte cose di Roma e, sendovi stato altre volte, lo ricercava se era vivo questo e quell'altro prelato, e molto lodava la corte di Roma, come è costume di tutti e' prelati ricchi che in essa stanno perché [60v] quivi sanza alcuno rispetto conseguono tutte le lor voglie. Il cappellano, che mal contento da Roma si partiva, dannava il Papa, i cardinali e tutti e' prelati, e li costumi e cerimonie della corte romana e, per scoprirli meglio, disse essersi trovato alla morte di papa Alessandro e che lui fu avenenato. E domandandolo io in che modo, rispose che e' segni del veneno si viddono certi, ma il modo è dubbio, e che lui n'aveva uditi contare tre.
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