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      Lo scrittore, che gli parve che la lepre andassi verso le rete, gli rispose che la virtù non era solo nella polvere, ma era nelle parole e che, quando lui gli dicessi a chi la volessi dare, farebbe lo incanto di nuovo, e che era certo ne seguirebbe il medesimo effetto.
      Il cameriere allora li aperse l'animo suo che era che il Papa li ponessi più amore, acciò ne potessi trarre più, donde tutti a dua ne diventerebbono felici. E però lo scrittore li disse che andassi la notte sequente a il medesimo luogo e ricogliessi la polvere delle foglie e poi la dessi al Papa. E partitosi da lui n'andò là e messe in sulle foglie [63v] veneno in polvere bianca la quale, raccolta dal cameriere e data nella vivanda a papa Alessandro, della quale mangiò ancora il Valentino, fu causa che l'uno morissi e l'altro infermassi gravemente. E così lo scrittore conseguì, con sottile arte, il desiderio suo e, venendo a morte, confessò il caso e ne volle l'assoluzione da papa Iulio.
     
      Arebbe il cappellano detto molte altre cose e l'archidiacono risposto ma, sendo già gran pezzo di notte, noi volemmo cenare e poi dormire. E la mattina, rispetto alli diacci, non cavalcammo per tempo et avemmo fatica condurci la sera a uno villaggio chiamato Ulbach.
      Nel medesimo alloggiamento trovammo certi servitori del Legato, intra quali n'era uno spagnuolo nominato Gaioso che, vedendo una nipote dell'oste, o forse bisnipote perché lui era vecchissimo (e dicevono le donne lo governavono che aveva più di cento anni) gli parve molto bella e, considerato la sera dove s'andava a posare, vidde andava nella stufa dove, in certe cucce separate, dormiva lei e quel vecchio.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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