E però quelli di corte a gara mandavono per esso; et il vecchio non voleva che l'attignessi altri che lui.
Onde Gianni, per fornirlo meglio, una mattina per la scala molte noce gittò e subito fece venire uno de' credenzieri dello Imperatore a domandare il vino per la persona di detto Imperatore. Onde l'oste, correndo giù per la scala, trovando le noce, cominciò al terzo scaglione a sdrucciolare e si condusse insino a basso. Era vecchio, aveva l'orciuolo in mano, in modo che si percosse tutto e si roppe una gamba: e così fu gastigato della sua avarizia e perversa natura.
Partendo di quivi lo Imperatore, noi lo seguimmo in un castelletto chiamato Mindelen e la sera alloggiammo in casa uno sarto. La casa era grande e più bella che non pareva ricercassi la condizione sua; e noi fummo ammirati che, sendo stati delli ultimi di corte a comparire, trovassimo sì buono alloggiamento vacuo.
Né prima fummo smontati, che il patrone della casa ci si fece incontro e ci disse: "Uomini da bene, io vi ricevo molto volentieri e di quello potrò vi farò onore e carezze. Doggomi bene che arete una incommodità grande circa il dormire, perché in questa casa è uno spirito che non resta mai in tutta la notte di fare romore: e però ci sto drento io che sono [66r] povero compagno, e di sì buona casa pago un niente".
Il Venafro, stimando che lui dicessi queste parole per metterci timore, acciò non stessimo quivi, li disse: "Buono uomo, pensa che da noi se' per trarre, perché ti satisferemo di tutto quello torremo del tuo, e largamente, sì che non bisogna ci metta paura perché ci partiamo, perché oramai non possiamo ire altrove".
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