Ma perseverando lei e con prieghi e lacrime, lui minacciò di fare romore; onde ella, avendo convertito l'amore in odio, deliberò vendicarsene. E la mattina quando fece colazione, o nel vino o nelle vivande che lui mangiò, messe veneno; e perché si partì per tempo mangiò solo et altri non portò pericolo. Come ebbe mangiato si partì; e noi dopo lui circa dua ore facemmo il medesimo.
E non fummo cavalcati dua miglia delle nostre, che trovammo il meschino secretario stramazzato nel mezzo della strada e, per il dolore grande, non restava d'esclamare; et aveva un servitore a presso. Noi ci fermammo e lo domandammo che male avessi e donde potessi procedere. Lui narrò quello li era intervenuto la notte, e pensava che la Margherita li avessi dato veneno. Il Venafro, che non era molto sano, faceva sempre portare seco utriaca et altre medicine, e fece [71r] trovare detta triaca e ne dette gran quantità a Sigismondo, in modo che in capo d'una ora cominciò a star meglio. E lo conducemmo a una osteria vicina e si conobbe che il veneno era suto debole et in poca quantità. Pure ne stette debole et intronato più che un mese, e portò la pena di non aver voluto ricevere nel letto quella che volentieri vi si posava.
Per tale impedimento non ci potemmo condurre la sera in Augusta, come era nostro disegno, ma stemmo lontano un miglio, in uno villaggio detto Trii, in osteria tanto trista quanto altra ne trovassi in Alamagna. E la causa ci fu detta da un contadino vecchio, il quale la sera in tal modo ci parlò:
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Margherita Venafro Sigismondo Augusta Trii Alamagna
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