Di quelli camerieri nessuno conosce Sorbillo e, se lo conoscano, fingano nol conoscere.
Con questi signori cardinali mai ho trovato modo di potere mangiare; con altri prelati e cortigiani il medesimo. Pure a questi giorni, trovai in Santo Pietro un tedesco et, entrando con lui in parlare, cominciai a lodare l'Alamagna; e volendosi partire, m'invitò a desinare. Non aspettai il secondo invito e fui tenuto, sendo di quaresima, molto bene. E gli piacque tanto la mia conversazione, perché in vero ho mille detti salsi e belli, che nel partire mi disse che voleva che tutta questa quaresima cenassi seco e che, per non dare malo essemplo alli suoi, ci ridurremmo in secreto e che potremmo insieme far buona cera.
Satisfecemi assai il suo parlare e stimai, per un tratto, avere trovato la ventura mia. E come s'appressava a notte, n'andavo là, et il pasto andava per ordine, e cominciavo a esser noto a tutti e' servitori di casa. Iersera mi riducevo in là, secondo il consueto. Voglio entrare in camera; uno mi si para davanti e dice: "Non entrare, Sorbillo, che Ulrico ha questa sera occupazione".
Malcontento, risposi se avevo a cenare: dissemi di no. Puoi pensare se mi partì' dolente! E ritrassi da un altro servitore [75v] che la sera cenava seco una femmina, chiamata la Constanzia, e la matre, e che aveva inteso che, insino a Pasqua, vi verrebbono quasi ogni sera, in modo che io sono tanto avilito che non so che partito mi pigliare.
Il ventre è male avezzo et a cibi ordinari non sta contento. Voglio cercare in banchi se truovo qualche borioso e smemorato che si diletti delle mie buffonerie e, se non lo truovo, bisognerà mi getti in Tevere.
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