La vittoria fu grandissima. Nondimeno i Svizzeri, così rotti, ritirorono l'artiglieria con le loro proprie braccia in Milano e, benché la fama si spargessi che nella giornata ne morissino dodicimila e chi dice di manco dice di ottomila, io ardirei di dire che non passorono quattromila perché, come è detto, ritirorono l'artiglieria, il che non potevono fare se non ve ne fussino restati vivi assai. Et il giorno sequente, in ordinanza si partirono di Milano per ritornarsene a casa, ancora che si partissino molti di loro feriti.
Come la rotta s'intese in Milano, i più intimi e familiari del Duca se ne entrorono in Castello da lui, et il popolo mandò ambasciadori al Re, i quali apuntorono: et il Re diventò signore di Milano e di tutto quello teneva il Duca, eccetto che il Castello.
A Piacenzia, dove era il Viceré e Lorenzo, ancora che fussi poco più distante di miglia trenta dal loco dove si fece la giornata, il fatto s'intese variamente, perché venne la prima nuova che li Svizzeri erano vittoriosi, e durò questa opinione tutto il dì 14 di settembre, la notte poi venne il vero, che lo scrisse Lodovico Canossa, vescovo di Tricarico, nunzio del Papa a presso il re Francesco, il quale non avea voluto lo seguitasse in campo, ma fu contento restasse a Turino.
Ma intendendo Leone che li Svizzeri tenevono pratica d'accordo e nessuno provedere danari altri che lui, cominciò a voltare l'animo a convenire con Francesco e fece che Lorenzo mandò in campo Benedetto Bondelmonti, il quale parlando col signor Ioan Iacopo circa lo accordo, parve a detto signore che, per facilitarlo, Tricarico venisse dal Re, e mandò per lui un corriere.
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