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      Et intese che Ferrando era convenuto con Luigi re di Francia e diviso tra loro quel Regno, onde Federigo fu costretto mendicare in Francia e cercare la misericordia di quel Re, la qual pensò trovare maggiore che quella del cugino. Nondimeno lui si escusava dicendo che Federigo non era sufficiente, ancora con l'aiuto suo, difendere il Regno, e che fu pur meglio con accordo cercare che una parte ne rimanesse nella casa d'Aragonia, che si perdesse tutto; e più, sapeva che Federigo, sanza tenere conto di lui o di suo capitano, teneva strette pratiche con Francia e che lui prevenne avanti le concludesse.
      È ancora da qualcuno ripreso d'avarizia. Et io sono forse in errore, ma iudico che non si debbe attribuire questo vizio a un principe il quale non grava i sudditi suoi di essazioni estraordidinarie, non fa accusare oggi questo e domani quello, per estorquere da loro le pecunie iniustamente, non lascia che li ministri suoi succino le sustanzie de' poveri, per spogliarli poi di quelle quando sono fatti [23r] ricchi, e più presto si astiene dal donare a' servitori, buffoni, cinedi et uomini di simil qualità. Et uno principe che vive in questo modo io, non avaro, ma liberale chiamerei. Ma interviene che, de' cento che usano le corti, ve ne sono novantanove bisognosi e che in loro piaceri vogliono spendere più che non possono. E perché il Principe a dare loro inclini, a uno principe rubatore e prodigo, danno il nome di liberale; a uno astinente di quello d'altri e vero liberale, danno il nome di avaro.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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