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      Il campo del Papa restò in tanto pericolo e disdetta, che sempre che alcuno di quello si scontrava, o per arte o a caso, con li avversari, ne andava col peggio. I condottieri erano divisi tra loro, i fanti non ubidivano a nessuno et attendevono solo a rubare li amici e farsi pagare, et, essendo di tante nazioni, spesso combattevono intra loro.
      Leone, avendo notizia di questi disordini [28v] si volse a mandarvi legato il cardinale di Bibbiena, omo molto destro nelle azioni del mondo, ma della guerra al tutto inesperto. E però in campo non condusse seco riputazione, pure lo riordinò alquanto, ma non di qualità che l'inimici non pigliassino animo a uscire dello stato di Urbino et andare verso Perugia. E sendo stati certi dì intorno a quella, Giampaulo, con accordo, li fece partire perché providde che li Perugini dettono a Francesco Maria scudi seimila. Il quale, ritirato con li suoi, si voltò verso Anghiari et il Borgo, terre de' Fiorentini, dove trovò maggiore difficultà che nelle terre della Chiesa. Et il Borgo, ancora che avesse le mura deboli e vi fusse una parte che aderisse a Francesco Maria, nondimeno, per diligenzia et animo di Luigi Guicciardini, che v'era commissario pe' Fiorentini, si salvò.
     
      Lorenzo, dopo che fu stato malato tre mesi in Ancona, per la diligenzia de' medici fu libero. E tornato prima in Firenze e poi andato verso il Borgo, ridusse in modo le genti sue, che l'inimici cominciorono a temere.
      Accadde ancora che Carlo e Francesco, come principi grandi, non stavano sanza sospetto l'uno dell'altro e ciascuno di loro dubitava che Leone non tirassi l'altro alla volta sua, e però ognuno di loro pensò essere il primo a levarli la guerra da dosso.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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