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      Et in ultimo, avendo preso la guerra contro al re di Francia, nella quale vincendo perdeva et andava alla ruina manifesta, la fortuna lo levò di terra, acciò non la vedessi.
      Nel suo pontificato, in Roma, non fu peste, non penuria di vivere, non guerra, fiorivano le lettere e le buone arti e vi erano ancora in culmine e' vizi.
      Alessandro et Iulio usorono pigliare l'eredità di qualunque, non solo prelato, ma piccolo prete et uficiale, che moriva in Roma. Leone s'astenne da tutte, onde vi concorse numero infinito d'uomini e si può dire certo, che in otto anni che stette pontefice, crescessi in Roma il terzo del popolo.
      Se fu principe, nel quale fussino più le virtù che i vizi, o il contrario, lo lascerò iudicare a chi n'ha più iudicio che non ho io. Aveva molte parti eccellenti e grandi; fu biasimato che teneva poco conto di quello prometteva, ma lui aveva quella sentenzia molto peculiare: "che il principe doveva rispondere in modo, a chi lo ricercava, che nessuno avessi causa partirsi da lui se non allegro". E però prometteva nel principio tanto e pasceva ogni uomo di tanta speranza, che non era possibile gli satisfacessi.
      A' Fiorentini particulari fece molti e grandi benefici. Ma li uomini sono tanto ingrati e sì poco discreti [36r] che, beneficando egli ancora delli altri che Fiorentini, come quello che era ubrigato a molti, tutto quello che dava a altri, stimavano togliessi a loro. Fu notato assai che si dilettassi troppo di buffoni, ma aveva tante altre parti che, chi le vorrà considerare senza odio et invidia, troverrà che i popoli non si doverrebbono dolere quando avessino uno principe simile.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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