E li fu fatto intendere come monsignor di San Valerio e Marco Depria et il vescovo d'Otton erono consci di questo trattato. Nondimeno Francesco, moderato in ogni suo negozio, non volle in questo, tanto importante, correre a furia e si fermò in Lione, et aspettava lettere da uno suo gentiluomo, che aveva lasciato appresso a Borbone perché lo sollecitassi. Il gentiluomo con modestia lo sollecitava, ma egli gli monstrava non migliorare. Pure si misse in lettica e si fece portare una giornata verso Lione, stimando che, come Francesco intendessi il partire suo da Mulins, non fussi più per diffidare di lui e dovessi pigliare la via verso Italia e, come fussi partito, colorire il disegno suo. Ma come intese che Francesco l'aspettava a Lione, non volle procedere più avanti, ma si misse a mezza notte in via con quattro a cavallo e ne andò verso i monti d'Alvernia.
Il gentiluomo, [39r] levato la mattina, intese il caso e, montato in poste, lo corse a dire al Re: el quale, chiaro d'ogni dubbio che aveva, fece pigliare quelli che io nominai di sopra e da loro intese Borbone avere ordinato il più scellerato trattato che si potessi pensare, perché, sendo del sangue di Francia e non lungi da potere pervenire alla corona, era convenuto che di quello regno si facessi tre parti, la Borgogna avessi Cesare, la Ghienna il re d'Inghilterra, et il resto rimanessi a lui. Et era tanto l'odio e l'ambizione che lo portava, che non considerava che distruggeva tutto il regno di Francia, perché non era possibile che Carlo et Enrico, preso che avevono la parte convenuta, non volessino il resto, acciò non potessi surgere uno del sangue di Francia che fussi atto a ripigliare il tutto.
| |
San Valerio Marco Depria Otton Francesco Lione Borbone Lione Francesco Mulins Italia Francesco Lione Alvernia Borbone Francia Borgogna Cesare Ghienna Inghilterra Francia Carlo Enrico Francia
|