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      Clemente, ancora che dovessi desiderare che la guerra uscissi d'Italia, dubitava, come buono Pontefice, ch'el regno di Francia non fussi da' Cesarei trovato sprovisto e patissi qualche grandissimo danno, e s'ingegnava, quanto poteva con le parole, ritenere e' Cesarei dal passare in Provenza, monstrando che, se si conducessino là e non facessino effetto, arebbono fatica a potersi ritirare e ne potrebbe seguire la destruzione di quello essercito, la quale si potrebbe poi tirare drieto la totale ruina di Cesare in Italia, e forse altrove.
      Il Viceré e Pescara non erono alieni da questa oppenione, ma avevono ordine da Cesare di credere in questo a Borbone il quale, e per lettere e per uomini a posta, li aveva fatto intendere di farlo in pochi giorni signore di gran parte di Francia. E quando il Viceré e Pescara prolungavono l'andata, lui protestava che per esso non restava di non eseguire quanto aveva promesso, e che loro erono causa di levare a Cesare la vittoria manifesta. E tanto gl'infestò con prieghi, conforti e protesti che, come dissi di sopra, l'essercito andò in Provenza per terra e l'artigliere s'imbarcorono a Genova e si condussono per mare drento allo essercito dove ne era di bisogno.
      Trovorono gl'Imperiali il paese senza provisione alcuna, li uomini imbelli e vili, e' quali lasciavono a furia i luoghi deboli e si conducevono a' più forti. E però in pochi dì presono molte terre e castelli, et, intra l'altre, Ais, capo della Provincia e dove si tiene il parlamento, ché trovorono quella città quasi abbandonata.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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