Ma vedendo e' Cesarei rassettarsi, dubitando che 'l Re non succumbessi, sumministrorono viveri a' Cesarei, e' quali, sanza essi, erono spacciati. Clemente ancora, sendo ricerco di danari dag[l]'Imperiali e negandoli perché non aveva, dubitava non essere venuto loro sospetto et arebbe volentieri penduto dalla parte di Francesco. Nondimeno non ardì fare se non il medesimo che i Veniziani.
Andando l'obsidione di Pavia in lungo, Francesco fu confortato a mandare una parte delle genti sue verso il Regno di Napoli, acciò che li Cesarei avessino a lasciare lo stato di Milano e ritirarsi verso il Regno. Il che se facevono, il Re aveva lo intento suo, se non lo facevono, era possibile che nel Regno seguissi alterazione di sorte, che li Cesarei non ne potessino trarre danari da nutrire l'essercito. Ma non poteva mandare questa gente senza il consenso del Papa, perché non era tanta che si potessi guadagnare il passo per forza, et era constretta passare per le terre de' Fiorentini e della Chiesa. E per questo, per opera d'Alberto conte di Carpi, oratore del Re a presso a Clemente, si concluse convenzione tra il Re e Papa, solo quanto a questo: che il Papa la lasciassi passare, pagando quello aveva bisogno, e senza offendere terra alcuna de' Fiorentini né sue. Et il Papa stimò certo, che come questa gente del Re si metteva in cammino, che gl'Imperiali si dovessino ritirare verso Napoli, onde seguirebbe che Francesco, senza altrimenti combattere, diventerebbe signore di Milano e Carlo si terrebbe [43r] il Regno di Napoli, e ciascuno di loro arebbe cura che l'altro non diventassi maggiore in Italia, acciò non fussi più potente a offenderlo.
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