E di quivi si spinse a Milano con quindicimila fanti e circa quattromila cavalli. E stimò certo il duca d'Urbino che gl'Imperiali che vi erano si partissino, impauriti del suo essercito, che veniva con vittoria, e del popolo di Milano inimicissimo loro per li mali trattamenti, e del Castello, nel quale era il Duca [48v] che era ancora lui nella Lega.
In Milano per Cesare erono capi il marchese del Guasto et Antonio di Leva, poi vi erono altri buoni capitani spagnuoli et alemanni, e' quali avevono tolte tutte l'arme a' Milanesi e mandatone fuori assai, e massime de' più giovani et animosi. Et avevono ridotto in termine quella città che, quanto alli uomini della terra, non avevono dubbio alcuno e determinorono aspettare che l'inimici li venissino a sforzare.
Il duca d'Urbino, poi che fu stato un giorno e quasi dua notte in sulle mura di Milano, se bene vi poteva stare più, o per timidità o perché non avessi caro che la Lega, nella quale s'interveniva il Papa, vincessi, senza conferire niente né a Luogotenente del Papa né a' suoi capitani, a mezza notte levò il campo, dicendo volersi ritirare solo quattro miglia e quivi fermarsi insino venissino le genti franzese, e che, stando quivi col campo, impedirebbe le vettovaglie a Milano. E con tutto quello diceva si ritirò a Marignano e voleva la sera medesima ire a Lodi. Ma il Proveditore veniziano, persuaso da il Luogotenente, non lo lasciò. Il campo si fermò a Marignano.
Et intanto s'intese che Borbone era arrivato a Genova con sei galee e che portava ducati centomila perché Cesare, subito che ebbe notizia ch'el Re non voleva stare alle convenzioni, mandò il Viceré et Ilarcone a lui, perché lo persuadessino alla pace ignominiosa e pericolosa.
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