E commesse loro che, quando lo vedessino ostinato, cercassino d'ottenere di passare in Italia. Ma intendendo che il Re non voleva concedere il passo, si volse a mandare Borbone per mare. E mandò in Francia di nuovo don Ugo di Moncada, perché venissi in Italia imbasciadore al Papa, il quale Francesco lasciò passare, non volendo monstrare, nel principio della Lega, diffidare del Papa.
Borbone, arrivato a Genova, prese il cammino verso Alessandria, accompagnato da cinquecento fanti. E di quivi una notte entrò in Milano e dette grande animo agli Spagnuoli e Tedeschi, massime perché pensorono portassi più danari non portava.
Li oratori del Papa e Veniziani sollecitavono tuttogiorno il Re che almanco, per riputazione della impresa, mandassi le genti a cavallo. E lui mandò il marchese di Saluzzo non solo con secento lance, come era ubrigato, ma li aggiunse quattromila fanti. E già cominciavono [49r] a comparire a Susa, quando il Castello di Milano, e per uomini e per cenni, fece intendere nel campo della Lega che non si poteva tenere se non era soccorso, perché non aveva da vivere. Fu messo in consulta più volte tra' condottieri della Lega se si doveva soccorrere o no; e quasi tutti s'accordorono che si doveva e poteva fare senza pericolo, eccetto il duca d'Urbino el quale diceva non confidare tanto ne' fanti italiani poco esperti, che gli volessi mettere a paragone con li Spagnuoli. Il duca di Milano, vedendo non li venire soccorso, stretto dalla fame, s'accordò come potette e, sendo ammalato, si ridusse prima in campo della Lega e poi a Crema.
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