Et avendo appresso di sé uno spagnuolo, Generale de' Frati Minori, el quale Cesare gli aveva mandato pochi dì avanti per pascerlo di speranza, con auttorità piena di comporre, ma non senza il Viceré, lo mandò a Napoli per intendere l'animo suo. E soprastando a rispondere più che non li pareva, mandò di nuovo l'arcivescovo di Capua, sotto colore di visitazione. E l'uno e l'altro scrisse che trovava buona disposizione, ma, venendo a parlare de' capitoli, il Viceré domandava tanti danari, che se il Papa li avessi avuti non bisognava cercassi accordo, perché arebbe potuto facilmente vincere la guerra. Aggiugneva ancora il Viceré che per pratica alcuna non voleva desistere una ora dalla guerra, credendo con queste parole invilire il Papa: el quale si voltò a fare quelle preparazioni potette in tanta scarsità di partiti e liberò Orazio Baglioni, el quale aveva tenuto in Castello più anni.
Venne Renzo da Ceri di Francia, Andrea Doria riordinò l'armata, mandò legato sopra li fanti, che aveva a Prenestina, il cardinale Triulzio, il quale rividde le genti d'arme e fanterie e le ridusse in assai buono ordine.
Il Viceré ordinò che le sue genti fussino tutte a Gaeta e di quivi si transferì verso Pontecorvo, terra del Papa, [54r] con ottomila fanti e mille cavalli, tra condotti in sull'armata e fatti nel Regno e delle terre de' Colonnesi. E con queste genti venne a affrontare quelle del Papa le quali resisterono gagliardamente e combatterono presso a Frusolone e gl'Imperiali n'ebbono il peggio, et ebbono di grazia che la notte spiccassi la zuffa e si cominciorono subito a ritirare.
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