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      Il cardinale di Cortona e li altri, inteso che ebbono il caso, subito tornorono nella città e chiamorono e' fanti tenevono per guardia, che in fatti erono circa millecinquecento, de' quali era capitano principale il conte Pier Noferi da Montedoglio. Questi, messi in ordinanza con loro picche et archibusi, vennono verso la piazza. Come questo s'intese in Palazzo, tutti quelli che vi erono cominciorono a invilire e temere, così li amici de' Medici come l'inimici, stimando che se li fanti vi entrassino per forza, ogni uomo andrebbe a filo di spada senza distinzione.
      Pure il cardinale Ridolfi e messer Francesco Guicciardini, avendo affezione alla patria et alli loro cittadini e discorrendo che se si veniva al sangue, che erono tanti i soldati e drento e fuori della città, che sarebbe impossibile non andassi a sacco, pregorono il signore Federigo da Bozzole che andassi in Palazzo a trattare l'accordo: e non lo trovando la prima volta, vi tornò di nuovo insieme col Guicciardino [56r] e si concluse che le cose tornassino nel termine di prima, e che fussi perdonato a ciascuno e che di quel dì nessuno si ricordassi.
      E Francesco Vittori fece la scritta di tal convenzione, sottoscritta dalli cardinali, dal duca d'Urbino e dal signore Federigo. E per allora si posò il tumulto, ma con timore grandissimo di tutti quelli che si erono trovati in Palazzo, o amici o inimici che fussino: e molti pensavano d'assentarsi dalla città, pure volevano stare a vedere dove s'indirizzava l'essercito di Borbone.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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