E non si può negare che li abitatori di Roma, e massime e' Romani, non avessino in loro tutti e' vizi detti di sopra, e maggiori. Non voglio già dire così di Clemente perché, chi considerrà la vita de' pontefici passati, potrà veramente iudicare che sono più che cento anni che nel pontificato non sedette il migliore uomo che Clemente settimo, alieno dal sangue, non superbo, non simoniaco, non avaro, non libidinoso, sobrio nel vitto, parco nel vestire, religioso, divoto nelle messe et ufici divini, e' quali non ha mai usato omettere. Nondimeno la ruina è venuta a tempo suo e li altri, che sono stati pieni di vizi, si può iudicare che, quanto al mondo, sieno vivuti e morti felici, né di questo si può ricercare ragione da nostro signore Iddio, el quale punisce e non punisce in quel modo e in quel tempo che gli piace.
Andò Roma a sacco alli sei di maggio l'anno ventisette et in Firenze ne fu notizia alli dodici. Tutti li nimici de' Medici si risentirono e tanto più perché li Fiorentini ebbono di danno in Roma molte centinaia di migliaia di ducati, e ciascuno di questo danno attribuiva la colpa al Papa.
Tutti quelli che si erono scoperti alli ventisei d'aprile, iudicando stare in pericolo, non pensavono a altro che a novità. Li amici de' Medici, delli quali una parte era diventata sospetta al cardinale di Cortona, inviliti per il successo di Roma e cognoscendo certo che lo stato non si poteva tenere se non per forza e che bisognavano a questo effetto alla guardia almanco tremila fanti, spesa insopportabile alla città essausta, e che il Cardinale era constretto a levarsi dinanzi qualche cittadino de' più riputati e ricchi, dubitando ancora non avere la guerra di fuori e temendo che il Papa, sendo rinchiuso in Castello, quando non fussi soccorso, non avessi a venire nelle mani degl'Imperiali, i quali li avessino a tôrre la vita o mandarlo prigione in Ispagna, proposono l'onore e l'utile della patria al bene essere loro.
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