ANTONIO: Orsù, io ti voglio contentare. Ma sarebbe necessario, a voler darti bene ad intendere ogni cosa, repetere molte azioni insino al tempo di Lione, ma sarei troppo lungo e però ometterò molte cose e mi sforzerò esser breve. Ma quando, per la brevità, il parlar mio non ti paressi aperto a sufficienzia, non ti sarà grave interrompermi e domandarmi di quello non intendessi.
Che hai a sapere che, come il duca d'Urbino, capitano de' Veniziani e governatore in fatto di tutto lo essercito della Lega, ritirò le genti di Milano, dove quelle erono condotte animosamente, pensando avere a dare la battaglia a quella città et ottenerla, subito papa Clemente cascò d'animo e cominciò a navicare per perduto, perché conobbe che il re di Francia non faceva la guerra vivamente e non osservava quello aveva promesso, non per voluntà, ma per non potere più. Conobbe che i Veniziani cercavono d'indebolire Italia e destruggere prima la Lombardia e poi la Toscana e Roma et il Regno di Napoli, e che avevono capitano che gli serviva a punto secondo volevono, perché desiderava vivere.
Conobbe, ancora, che li era mancato la reputazione e che non poteva più fare provisione di danari che bastassi a reggere tanta guerra. E benché amassi assai la città di Firenze, amava più sé medesimo e però, contro a quello che era di diretto contrario all'intenzione sua, cominciò a lasciarla aggravare oltre a modo di danari. E ciò fece per provare se questo remedio bastassi, indicando che, se lui si salvava, non li mancherebbe modo a satisfarla de' danni patiti e, quando lui rovinassi, non gli pareva inconveniente metterla in pericolo che insieme seco andassi in ruina.
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