Ma io non voglio procedere più oltre in questo parlare, e massime che noi siamo già a casa. Poserenci qui in camera terrena e, mentre s'ordinerà da cena, tu seguiterai il tuo parlare.
ANTONIO: Io lasciai che Carlo della Noy, viceré di Napoli, per fermare meglio lo accordo col Papa era venuto in Roma. E di quivi mandò Cesare Fieramosca in campo a monsignor di Borbone, che era vicino a poche miglia a Bologna, a significarli che aveva fatto composizione col Papa e che li mandava ducati sessantacinquemila tra del Papa, Fiorentini e suoi, perché li distribuissi all'essercito e lo ritirassi verso la Lombardia.
Borbone gli parve strano aver a ritirare lo essercito nel ducato di Milano, del quale pensava avere a essere duca, e li pareva, mentre vi stava questo essercito, che guastassi la città et il paese, et esserne signore in nome, ma in fatto patroni ne fussino li soldati. E pensò d'ingannare il Papa et il Viceré e, sotto questo accordo, procedere avanti e trovare il Papa sprovisto di gente e di danari e che, avendo fatto l'accordo, non avessi più modo a riunirsi con la Lega. E suburnati certi capitani che dicessino a Cesare che non volevano star contenti a sì pochi danari, lui, da parte, gli disse che facessi intendere al Viceré che l'accordo gli piaceva, e che era non solo utile per lo Imperatore, ma necessario, ma che le fanterie erono bestiali e che bisognavono più danari, accennando di ducati dugentomila; e, quando questi si provedessono, credeva che lo essercito starebbe paziente, ma che il Viceré non si maravigliassi se intanto lui procedeva, perché lo faceva per monstrare alle fanterie di fare tutto quello poteva a loro benefizio.
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