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      Ma di Borbone sia detto a bastanza, che non merita se ne parli tanto, ché di simili uomini sarebbe bene che insieme con la vita s'estinguessi la fama, o buona o rea che la fussi.
      Ma dimmi, avendo preveduto il male di Roma più mesi avanti, come tu m'hai detto nel tuo parlare, come fu possibile che tu non ti partissi a buon'ora e ne portassi teco più cose che tu potevi?
      ANTONIO: Cotesta è una dimanda che a volerti satisfare richiede una risposta lunga. Et a me pare che tu non abbi né fame né sonno; et io son vecchio e desidero posarmi e domattina parleremo.
      BASILIO: Così si faccia! Ma perché staremo ambiduoi in questa camera, che ci sono duoi letti, se ti destassi questa notte, non ti parrà fatica, per passare il tempo, satisfarmi di quanto io t'ho dimandato.
      ANTONIO: Io pensavo, poi che sono stato desto, che io andai a Roma a tempo di papa Paulo molto fanciullo, nondimeno sentivo dire tutto il giorno a' Fiorentini et ad altri, che era impossibile, alle sceleratezze che si commettevono in Roma e massime per li preti, che quella città potessi indugiare a capitar male. Nondimeno Paulo morì felice, quanto al mondo, perché estirpò il conte d'Everso dell'Anguillara, il quale non stimava né preti né religione né Iddio.
      Seguì Sisto, uomo uso ad essere frate, e col saper fare l'ipocrito et accomodarsi con ciascuno, pervenne a quel grado. E questi frati, con la loro logica e teologia, s'assettono una religione nella fantasia a modo loro, e vanno seguitando; e ciò che fanno pare loro ben fatto e lecito.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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