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      Il qual accordo se non riuscì, non avvenne perché i mandati non trattassino tutto con maravigliosa destrezza e che a Pagolo non riuscissi di persuadere al Viceré quel che voleva, perciò ch'egli l'aveva indotto ad accordarsi, ma o per le dissuasioni del duca di Borbone, che aspirava alla ducea di Milano, o vero perché il marchese di Pescara, con la sua solita alterigia, detestò tal partito e mostrò prudentemente ch'era ben seguitare quella impresa dalla quale risultava la somma d'ogni cosa.
      Volle anche il medesimo Pontefice, intesa la liberazione del re di Francia dopo che fu stato prigione circa tredici mesi, che dal medesimo Pagolo fossero trattati i negozi attenenti alla confederazione, ch'egli aveva in animo di fare contro all'Imperatore. E però Io mandò subito, correndo, alla corte di Francia con ordinargli che, giuntovi il Re, palesemente dimostrassi solo di esservi mandato per allegrarsi della liberazione e fargli sapere gli sforzi che Clemente ne aveva fatti. Ma in segreto ordinò che Pagolo tentassi l'animo del Re intorno alla capitolazione fatta con Cesare e, caso che lo trovassi volto a non osservare, si scoprissi a offerirgli lega e lo inanimissi a far gagliarda guerra all'Imperatore. Per l'occasione della qual cosa, essendosi messo Pagolo in cammino, giunto in Firenze, si ammalò di malattia sì grave, ch'egli non la potette superare, essendo già di anni quarantanove e molto malsano per infiniti disagi patiti.
      La sua morte fu di grandissimo dispiacere al Pontefice et a tutti quegli, così di grande come di mediocre e basso stato, che avevano trattato seco.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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