Imperciocché egli, già di mente metafisica, tutto il cui lavoro è intendere il vero per generi e, con esatte divisioni condotte fil filo per le spezie de' generi, ravvisarlo nelle sue ultime differenze, spampinava nelle maniere più corrotte del poetare moderno, che con altro non diletta che coi trascorsi e col falso. Nella qual maniera più fu confermato da ciò: che, dal padre Giacomo Lubrano (gesuita d'infinita erudizione e credito a que' tempi nell'eloquenza sacra, quasi da per tutto corrotta) portatosi il Vico un giorno per riportarne giudizio se esso aveva profittato in poesia, li sottopose all'emenda una sua canzone sopra la rosa, la quale sì piacque al padre, per altro generoso e gentile, che, in età grave d'anni ed in somma riputazione salito di grande orator sacro, ad un giovanetto che non mai aveva inanzi veduto non ebbe ritegno di recitare vicendevolmente un suo idillio fatto sopra lo stesso soggetto. Ma il Vico aveva appreso una tal sorta di poesia per un esercizio d'ingegno in opere d'argutezza, la quale unicamente diletta col falso, messo in comparsa stravagante che sorprenda la dritta espettazione degli uditori: onde, come farebbe dispiacenza alle gravi e severe, così cagiona diletto alle menti ancor deboli giovanili. Ed in vero sì fatto errore potrebbe dirsi divertimento poco meno che necessario per gl'ingegni de' giovani, assottigliati di troppo e irrigiditi nello studio delle metafisiche, quando dee l'ingegno dare in trascorsi per l'infocato vigor dell'età perché non si assideri e si dissecchi affatto, e con la molta severità del giudizio, propia dell'età matura, procurata innanzi tempo, non ardisca appresso mai di far nulla.
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