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      Ed avendo saputo che 'l Cornelio non era valuto in lingua greca, né curato aveva la toscana e nulla o pochissimo si era dilettato di critica - forse perché avvertito aveva che i poliglotti, per la moltiplicità delle lingue che sanno, non ne usano mai una perfettamente, e i critici non consieguono le virtù delle lingue, perché sempre mai si trattengono a notare i difetti sopra gli scrittori - il Vico deliberò abbandonare la greca, in cui si era avvanzato dai Rudimenti del Gressero, che aveva appreso nella seconda de' gesuiti, e la toscana favella (per la qual ragione non volle mai pur sapere la francesa), e tutto confermarsi nella latina. Ed avendo egli osservato altresì che con uscire alla luce i lessici e i comenti la lingua latina andò in decadenza, si risolvé non prender mai più tal sorta di libri tra le mani, riserbandosi il solo Nomenclatore di Giunio per l'intelligenza delle voci delle arti, e leggere gli auttori latini schietti di note, con una critica filosofica entrando nel di loro spirito, siccome avevan fatto gli scrittori latini del Cinquecento, tra' quali ammirava il Giovio per la facondia e 'l Naugero per la delicatezza, da quel poco che ne lasciò e, per lo di lui gusto troppo elegante, ne fa sospirare la gran perdita che si è fatta della sua Storia.
      Per queste ragioni il Vico non solo viveva da straniero nella sua patria, ma anche sconosciuto. Non per tanto ch'egli era di questi sensi, di queste pratiche solitarie, non venerava da lontano come numi della sapienza gli uomini vecchi accreditati in iscienza di lettere e ne invidiava con onesto cruccio ad altri giovani la ventura di conversarvi.


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Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo
di Giambattista Vico
pagine 92

   





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