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      E, con questa disposizione, che è necessaria alla gioventù per più profittare, e non sul detto de' maestri o maliziosi o ignoranti restare per tutta la vita soddisfatti di un sapere a gusto ed a misura di altrui, venne egli primieramente in notizia a due uomini di conto. Il primo fu il padre don Gaetano di Andrea teatino, che poi morì santissimo vescovo, fratello de' signori Francesco e Gennaio, entrambi di immortal nome; il quale in un ragionamento che dentro una libreria con essolui tenne il Vico di storia di collezioni di canoni, li domandò se esso avesse menato moglie. E, rispondendogli il Vico che no, quello soggiunse: se egli si volesse far teatino; a cui questo rispondendo che esso non aveva natali nobili, quello replicò che ciò nulla importerebbe, perché esso ne arebbe ottenuta dispensa da Roma. Qui, vedendosi il Vico obbligato da tanta onoranza del padre, uscì colà che aveva parenti poveri e vecchi, privi di ogni altra speranza; e pure replicando il padre che gli uomini di lettere erano piuttosto di peso che di utilità alle famiglie, il Vico conchiuse che forse in esso avverrebbe il contrario. Allora il padre finì con dire: - Non è questa la vostra vocazione -. L'altro fu il signor don Giuseppe Lucina, uomo di una immensa erudizione greca, latina e toscana in tutte le spezie del sapere umano e divino, il quale, avendo sperimentato il giovine quanto valesse, si doleva gentilmente che non se ne facesse alcun buon uso nella città, quando a lui si offerse una bella occasione di promuoverlo: che 'l signor don Niccolò Caravita, per acutezza d'ingegno, per severità di giudizio e per purità di toscano stile avvocato primario de' tribunali e gran favoreggiatore de' letterati, volle fare una raccolta di componimenti in lode del signor conte di Santostefano, viceré di Napoli, nella di lui dipartenza, la quale fu la prima che uscì in Napoli nella nostra memoria, e dentro le angustie di pochi giorni doveva ella essere già stampata.


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Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo
di Giambattista Vico
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