Frattanto il Vico, con la lezione del più ingegnoso e dotto che vero trattato di Bacone da Verulamio De sapientia veterum, si destò a ricercarne più in là i princìpi che nelle favole de' poeti, muovendolo a far ciò l'auttorità di Platone, ch'era andato nel Cratilo ad investigargli dentro le origini della lingua greca; e, promuovendolo la disposizione, nella quale era già entrato, che l'incominciavano a dispiacere l'etimologie de' gramatici, s'applicò a rintracciargli dentro le origini delle voci latine, quando certamente il sapere della setta italica fiorì assai innanzi, nella scuola di Pittagora, più profondo di quello che poi cominciò nella medesima Grecia. E dalla voce «coelum», che significa egualmente il «bolino» e 'l «gran corpo dell'aria», congetturava non forse gli egizi, da cui Pittagora aveva appreso, avessero oppinato che l'istromento, con cui la natura lavora tutto, egli sia il cuneo, e che ciò vollero significare gli egizi con le loro piramidi. E i latini la «natura» dissero «ingenium», di cui è principal propietà l'acutezza; sì che la natura formi e sformi ogni forma col bolino dell'aria; e che formi, leggiermente incavando, la materia; la sformi, profondandovi il suo bolino col quale l'aria depreda tutto; e la mano che muova questo istrumento sia l'etere, la cui mente fu creduta da tutti Giove. E i latini l'«aria» dissero «anima», come principio onde l'universo abbia il moto e la vita, sopra cui, come femmina, operi come maschio l'etere, che, insinuato nell'animale, da' latini fu detto «animus»; onde è quella volg
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