Sembrò a taluni l'argomento, particolarmente per la terza parte, più magnifico che efficace, dicendo che non di tanto si era compromesso Pico della Mirandola quando propose sostenere «conclusiones de omni scibili», perché ne lasciò la grande e maggior parte della filologia, la quale, intorno a innumerabili cose delle religioni, lingue, leggi, costumi, domìni, commerzi, imperi, governi, ordini ed altre, è ne' suoi incominciamenti mozza, oscura, irragionevole, incredibile e disperata affatto da potersi ridurre a princìpi di scienza. Onde il Vico, per darne innanzi tempo un'idea che dimostrasse poter un tal sistema uscire all'effetto, ne diede fuora un saggio l'anno 1720, che corse per le mani de' letterati d'Italia e d'oltremonti, sopra il quale alcuni diedero giudizi svantaggiosi; però, non gli avendo poi sostenuti quando l'opera uscì adornata di giudizi molto onorevoli di uomini letterati dottissimi, co' quali efficacemente la lodarono, non sono costoro da essere qui mentovati. Il signor Anton Salvini, gran pregio dell'Italia, degnossi fargli contro alcune difficoltà filologiche (le quali fece a lui giugnere per lettera scritta al signor Francesco Valletta, uomo dottissimo e degno erede della celebre biblioteca vallettiana lasciata dal signor Gioseppe, suo avo), alle quali gentilmente rispose il Vico nella Constanza della filologia; altre filosofiche del signor Ulrico Ubero e del signor Cristiano Tomasio, uomini di rinomata letteratura della Germania, gliene portò il signor Luigi barone di Ghemminghen, alle quali egli si ritruovava già aver soddisfatto con l'opera istessa, come si può vedere nel fine del libro De constantia iurisprudentis.
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