). Il Vico con un libricciuolo in dodicesimo, intitolato: Notae in Acta lipsiensia, vi dovette rispondere nel tempo che, per un'ulcera gangrenosa fattagli nella gola (perché in tal tempo n'ebbe la notizia), egli, essendo vecchio di sessant'anni, fu costretto dal signor Domenico Vitolo, dottissimo e costumatissimo medico, d'abbandonarsi al pericoloso rimedio de' fumi del cinabro, il qual anco a' giovani, se per disgrazia tocca i nervi, porta l'apoplesia. Per molti e rilevanti riguardi, chiama l'orditore di tale impostura «vagabondo sconosciuto». Penetra nel fondo di tal laida calonnia e pruova lui averla così tramata per cinque fini: il primo per far cosa che dispiacesse all'autore; il secondo per rendere i letterati lipsiensi neghittosi di ricercare un libro vano, falso, catolico, d'un autor sconosciuto; il terzo, se ne venisse lor il talento, col tacere e falsare il titolo, la forma e la condizion dell'autore, difficilmente il potessero ritruovare; il quarto, se pur mai il truovassero, da tante altre circostanze vere la stimassero opera d'altro autore; il quinto per seguitare d'esser creduto buon amico da que' signori tedeschi. Tratta i signori giornalisti di Lipsia con civiltà, come si dee con un ordine di letterati uomini d'un'intiera famosa nazione, e gli ammonisce che si guardino per l'avvenire di un tal amico, che rovina coloro co' quali celebral'amicizia e gli ha messi dentro due pessime circostanze: una, di accusarsi che mettono ne' loro Atti i rapporti e i giudizi de' libri senza vedergli; l'altra, di giudicare d'un'opera medesima con giudizi tra loro affatto contrari.
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