E quindi si ritruova il romano essere stato regno aristocratico, il quale cadde sotto la tirannia di Tarquinio Superbo, il quale avea fatto pessimo governo de' nobili e spento quasi tutto il senato; ché Giunio Bruto, il quale nel fatto di Lugrezia afferrò l'occasione di commuovere la plebe contro i Tarquini e, avendo liberato Roma dalla tirannide, ristabilì il senato e riordinò la repubblica sopra i suoi princìpi e, per un re a vita, con due consoli annali, non introdusse la popolare, ma vi raffermò la libertà signorile. La qual si truova che visse fin alla legge Publilia, con la quale Publilio Filone dittatore, detto perciò «popolare», dichiarò la repubblica romana esser divenuta popolare di stato, e spirò finalmente con la legge Petelia, la quale liberò affatto la plebe dal diritto feudale rustico del carcere privato, ch'avevano i nobili sopra i plebei debitori: sulle quali due leggi, che contengono i due maggiori punti della storia romana, non si è punto riflettuto né da' politici né da' giureconsulti né dagl'interpetri eruditi della romana ragione, per la favola della legge delle XII Tavole venuta da Atene libera per ordinar in Roma la libertà popolare, la quale queste due leggi dichiarano essersi ordinata in casa co' suoi naturali costumi (la qual favola si è scoverta ne' Princìpi del Diritto universale, usciti molti anni fa dalle stampe). Laonde, perché le leggi si deono interpetrare acconciamente agli stati delle repubbliche, da sì fatti princìpi di governo romano si danno altri princìpi alla romana giurisprudenza.
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