E per tutto questo libro si mostrerà che quanto prima avevano sentito d'intorno alla sapienza volgare i poeti, tanto intesero poi d'intorno alla sapienza riposta i filosofi; talché si possono quelli dire essere stati il senso e questi l'intelletto del gener umano; di cui anco generalmente sia vero quello da Aristotile detto particolarmente di ciascun uomo: «Nihil est in intellectu quin prius fuerit in sensu», cioè che la mente umana non intenda cosa della quale non abbia avuto alcun motivo (ch'i metafisici d'oggi dicono «occasione») da' sensi, la quale allora usa l'intelletto quando, da cosa che sente, raccoglie cosa che non cade sotto de' sensi; lo che propiamente a' latini vuol dir «intelligere».
1.
DELLA SAPIENZA GENERALMENTE.
Ora, innanzi di ragionare della sapienza poetica, ci fa mestieri di vedere generalmente che cosa sia essa sapienza. Ella è sapienza la facultà che comanda a tutte le discipline, dalle quali s'apprendono tutte le scienze e l'arti che compiono l'umanità. Platone diffinisce la sapienza esser la perfezionatrice dell'uomo. Egli è l'uomo non altro, nel propio esser d'uomo, che mente ed animo, o vogliam dire intelletto e volontà. La sapienza dee compier all'uomo entrambe queste due parti, e la seconda in séguito della prima, acciocché dalla mente il luminata con la cognizione delle cose altissime l'animo s'induca all'elezione delle cose ottime. Le cose altissime in quest'universo son quelle che s'intendono e si ragionan di Dio; le cose ottime son quelle che riguardano il bene di tutto il gener umano: quelle «divine» e queste si dicono «umane cose». Adunque la vera sapienza deve la cognizione delle divine cose insegnare per condurre a sommo bene le cose umane.
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Aristotile Dio
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