In cotal guisa i primi uomini delle nazioni gentili, come fanciulli del nascente gener umano, quali gli abbiamo pur nelle Degnità divisato, dalla lor idea criavan essi le cose, ma con infinita differenza però dal criare che fa Iddio: perocché Iddio, nel suo purissimo intendimento, conosce e, conoscendole, cria le cose; essi, per la loro robusta ignoranza, il facevano in forza d'una corpolentissima fantasia, e, perch'era corpolentissima, il facevano con una maravigliosa sublimità, tal e tanta che perturbava all'eccesso essi medesimi che fingendo le si criavano, onde furon detti «poeti», che lo stesso in greco suona che «criatori». Che sono gli tre lavori che deve fare la poesia grande, cioè di ritruovare favole sublimi confacenti all'intendimento popolaresco, e che perturbi all'eccesso, per conseguir il fine, ch'ella si ha proposto, d'insegnar il volgo a virtuosamente operare, com'essi l'insegnarono a se medesimi; lo che or ora si mostrerà. E di questa natura di cose umane restò eterna propietà, spiegata con nobil espressione da Tacito: che vanamente gli uomini spaventati «fingunt simul creduntque».
Con tali nature si dovettero ritruovar i primi autori dell'umanità gentilesca quando - dugento anni dopo il diluvio per lo resto del mondo e cento nella Mesopotamia, come si è detto in un postulato (perché tanto di tempo v'abbisognò per ridursi la terra nello stato che, disseccata dall'umidore dell'universale innondazione, mandasse esalazioni secche, o sieno materie ignite, nell'aria ad ingenerarvisi i fulmini) - il cielo finalmente folgorò, tuonò con folgori e tuoni spaventosissimi, come dovett'avvenire per introdursi nell'aria la prima volta un'impressione sì violenta.
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