E se pretende d'averlo gli ebrei a' gentili insegnato appresso, gli riesce impossibile a poterlo pruovare, per la confessione magnanima di Giuseffo assistita dalla grave riflessione di Lattanzio sopra arrecata, e per la nimistà che pur sopra osservammo aver avuto gli ebrei con le genti, la qual ancor ora conservano dissipati tra tutte le nazioni.
E finalmente Pufendorfio, che l'incomincia con un'ipotesi epicurea, che pone l'uomo gittato in questo mondo senza niun aiuto e cura di Dio. Di che essendone stato ripreso, quantunque con una particolar dissertazione se ne giustifichi, però senza il primo principio della provvedenza non può affatto aprir bocca a ragionare di diritto, come l'udimmo da Cicerone dirsi ad Attico, il qual era epicureo, dove gli ragionò delle leggi.
Per tutto ciò, noi da questo primo antichissimo punto di tutti i tempi incominciamo a ragionare di diritto, detto da' latini «ius», contratto dall'antico «Ious»: dal momento che nacque in mente a' principi delle genti l'idea di Giove. Nello che a maraviglia co' latini convengono i greci, i quali per bella nostra ventura osserva Platone nel Cratilo che dapprima il gius dissero diaión, che tanto suona quanto «discurrens» o «permanens» (la qual origine filosofica vi è intrusa dallo stesso Platone, il quale con mitologia erudita prende Giove per l'etere che penetra e scorre tutto; ma l'origine istorica viene da esso Giove, che pur da' greci fu detto Diós, onde vennero a' latini «sub dio» egualmente e «sub Iove» per dir «a ciel aperto»), e che poi per leggiadria di favella avessero profferito díkaion.
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