Lo che tutto va di séguito a quella degnità: che «l'uomo ignorante si fa regola dell'universo», siccome negli esempli arrecati egli di se stesso ha fatto un intiero mondo. Perché come la metafisica ragionata insegna che «homo intelligendo fit omnia», così questa metafisica fantasticata dimostra che «homo non intelligendo fit omnia»; e forse con più di verità detto questo che quello, perché l'uomo con l'intendere spiega la sua mente e comprende esse cose, ma col non intendere egli di sé fa esse cose e, col transformandovisi, lo diventa.
II
Per cotal medesima logica, parto di tal metafisica, dovettero i primi poeti dar i nomi alle cose dall'idee più particolari e sensibili; che sono i due fonti, questo della metonimia e quello della sineddoche. Perocché la metonimia degli autori per l'opere nacque perché gli autori erano più nominati che l'opere; quella de' subbietti per le loro forme ed aggiunti nacque perché, come nelle Degnità abbiamo detto, non sapevano astrarre le forme e la qualità da' subbietti; certamente quella delle cagioni per gli di lor effetti sono tante picciole favole, con le quali le cagioni s'immaginarono esser donne vestite de' lor effetti, come sono la Povertà brutta, la Vecchiezza trista, la Morte pallida.
III
La sineddoche passò in trasporto poi con l'alzarsi i particolari agli universali o comporsi le parti con le altre con le quali facessero i lor intieri. Così «mortali» furono prima propiamente detti i soli uomini, che soli dovettero farsi sentire mortali. Il «capo», per l'«uomo» o per la «persona», ch'è tanto frequente in volgar latino, perché dentro le boscaglie vedevano di lontano il solo capo dell'uomo: la qual voce «uomo» è voce astratta, che comprende, come in un genere filosofico, il corpo e tutte le parti del corpo, la mente e tutte le facultà della mente, l'animo e tutti gli abiti dell'animo.
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Degnità Povertà Vecchiezza Morte
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