Posti tali princěpi di logica poetica e dileguata tal boria de' dotti, ritorniamo alle tre lingue degli egizi. Nella prima delle quali, ch'č quella degli dči, come si č avvisato nelle Degnitŕ, per gli greci vi conviene Omero, che in cinque luoghi di tutti e due i suoi poemi fa menzione d'una lingua piů antica della sua, la qual č certamente lingua eroica, e la chiama «lingua degli dči». Tre luoghi sono nell'Iliade: il primo ove narra «Briareo» dirsi dagli dči, «Egeone» dagli uomini; il secondo, ove racconta d'un uccello, che gli dči chiamano chalkída, gli uomini kúmindin; il terzo, che 'l fiume di Troia gli dči «Xanto», gli uomini chiamano «Scamandro». Nell'Odissea sono due: uno, che gli dči chiamano planktás pétras
«Scilla e Cariddi» che dicon gli uomini; l'altro, ove Mercurio dŕ ad Ulisse un segreto contro le stregonerie di Circe, che dagli dči č appellato môlu ed č affatto niegato agli uomini di sapere. D'intorno a' quali luoghi Platone dice molte cose, ma vanamente; talché poi Dion Crisostomo ne calogna Omero d'impostura, ch'esso intendesse la lingua degli dči, ch'č naturalmente niegato agli uomini. Ma dubitiamo che non forse in questi luoghi d'Omero si debbano gli «dči» intendere per gli «eroi», i quali, come poco appresso si mostrerŕ, si presero il nome di «dči» sopra i plebei delle loro cittŕ, ch'essi chiamavan «uomini» (come a' tempi barbari ritornati i vassalli si dissero «homines», che osserva con maraviglia Ottomano), e i grandi signori (come nella barbarie ricorsa) facevano gloria di avere maravigliosi segreti di medicina; e cosě queste non sien altro che differenze di parlari nobili e di parlari volgari.
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