Pagina (223/534)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      E non meno che i corpi, egli atterrò le di loro menti, con fingersi tal idea sì spaventosa di Giove, la quale - se non co' raziocini, de' quali non erano ancor capaci, co' sensi, quantunque falsi nella materia, veri però nella loro forma (che fu la logica conforme a sì fatte loro nature) - loro germogliò la morale poetica con fargli pii. Dalla qual natura di cose umane uscì quest'eterna propietà: che le menti, per far buon uso della cognizione di Dio, bisogna ch'atterrino se medesime, siccome al contrario la superbia delle menti le porta nell'ateismo, per cui gli atei divengono giganti di spirito, che deono con Orazio dire:
     
      Coelum ipsum petimus stultitia.
     
     
      Sì fatti giganti pii certamente Platone riconosce nel Polifemo d'Omero; e noi l'avvaloriamo da ciò ch'esso Omero narra dello stesso gigante, ove gli fa dire ch'un àugure, ch'era stato un tempo tra loro, gli aveva predetto la disgrazia ch'egli poi sofferse da Ulisse: perché gli àuguri non possono vivere certamente tra gli atei. Quivi la morale poetica incominciò dalla pietà, perch'era dalla provvedenza ordinata a fondare le nazioni, appo le quali tutte la pietà volgarmente è la madre di tutte le morali, iconomiche e civili virtù; e la religione unicamente è efficace a farci virtuosamente operare, perché la filosofia è più tosto buona per ragionarne. E la pietà incominciò dalla religione, che propiamente è timore della divinità. L'origine eroica della qual voce si conservò appo i latini per coloro che la voglion detta a «religando», cioè da quelle catene con le quali Tizio e Prometeo eran incatenati sull'alte rupi, a' quali l'aquila, o sia la spaventosa religione degli auspìci di Giove, divorava il cuore e le viscere.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





Giove Dio Orazio Platone Polifemo Omero Omero Ulisse Tizio Prometeo Giove