Solamente ora sia lecito qui di riflettere quanto vi volle acciocché gli uomini del gentilesimo dalla ferina loro natia libertà, per lunga stagione di ciclopica famigliar disciplina, si ritruovassero addimesticati, negli Stati ch'avevano da venir appresso civili, ad ubbidire naturalmente alle leggi. Di che restò quell'eterna propietà: ch'ivi le repubbliche sono più beate di quella ch'ideò Platone, ove i padri insegnano non altro che la religione, e da' figliuoli vi sono ammirati come lor sappienti, riveriti come lor sacerdoti e vi sono temuti da re. Tanta forza divina e tale vi abbisognava per ridurre a' doveri umani i quanto goffi altrettanto fieri giganti! La qual forza non potendo dir in astratto, la dissero in concreto con esso corpo d'una corda, che chordá si dice in greco, ed in latino da prima si disse «fides», la qual, prima e propiamente, s'intese in quel motto «fides deorum», «forza degli dèi». Della qual poi, come la lira dovette cominciare dal monocordo, ne fecero la lira d'Orfeo, al suon della quale egli, cantando loro la forza degli dèi negli auspìci, ridusse le fiere greche all'umanità, ed Anfione de' sassi semoventi innalzò le mura di Tebe: cioè di que' sassi che Deucalione e Pirra, innanzi al templo di Temi (cioè col timore della divina giustizia), co' capi velati (con la pudicizia de' matrimoni), posti innanzi i piedi (ch'innanzi erano stupidi, come a' latini per «istupido» restò «lapis»), essi, col gittargli dietro le spalle (con introdurvi gli ordini famigliari per mezzo della disciplina iconomica), fecero divenir uomini, come questa favola fu sopra, nella Tavola cronologica, così spiegata.
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