E qui, con bellissimo naturale necessario trasporto, le spighe del frumento chiamarono «poma d'oro», portando innanzi l'idea delle poma, che sono frutte della natura che si raccogliono l'està, alle spighe, che pur d'està si raccogliono dall'industria.
Da tal fatiga, che fu la più grande e più gloriosa di tutte, spiccò altamente il carattere d'Ercole, che ne fa tanta gloria a Giunone, che comandolla per nutrir le famiglie. E, con altrettanto belle quanto necessarie metafore, fantasticarono la terra per l'aspetto d'un gran dragone, tutto armato di squame e spine (ch'erano i di lei dumeti e spinai), finto alato (perché i terreni erano in ragion degli eroi), sempre vegghiante (cioè sempre folta), che custodiva le poma d'oro negli Orti esperidi, e dall'umidore dell'acque del diluvio fu poi il dragone creduto nascere in acqua. Per un altro aspetto fantasticarono un'idra (che pur viene detta da húdor, «acqua»), che, recisa ne' suoi capi, sempre in altri ripullulava; cangiante di tre colori: di nero (bruciata), di verde (in erbe), d'oro (in mature biade); de' quali tre colori la serpe ha distinta la spoglia, e invecchiando la rinnovella. Finalmente, per l'aspetto della ferocia ad esser domata, fu finta un animale fortissimo (onde poi al fortissimo degli animali fu dato nome «lione»), ch'è 'l lione nemeo, che i filologi pur vogliono essere stato uno sformato serpente. E tutti vomitan fuoco, che fu il fuoco ch'Ercole diede alle selve.
Queste furono tre storie diverse in tre diverse parti di Grecia, significanti una stessa cosa in sostanza.
| |
Ercole Giunone Orti Ercole Grecia
|