Pagina (263/534)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Onde ad Antinoo, il capo de' suoi soci, per una parola, quantunque dettagli a buon fine, perché non gli va all'umore, Ulisse vuol mozzare la testa; e 'l pio Enea uccide il socio Miseno, che gli bisognava per far un sagrifizio. Di che pure ci fu serbata una volgare tradizione; ma Virgilio, perché nella mansuetudine del popolo romano era troppo crudo ad udirsi di Enea, ch'esso celebra per la pietà, il saggio poeta finge che ucciso fu da Tritone, perché avesse osato con quello contendere in suon di tromba: ma nello stesso tempo ne dà troppo aperti motivi d'intenderlo, narrando la morte di Miseno tralle solennità prescritte dalla Sibilla ad Enea, delle quali una era che gli bisognava innanzi seppellire Miseno per poter poi discendere nell'inferno; e apertamente dice che la Sibilla gliene aveva predetto la morte.
      Talché questi erano soci delle sole fatighe, ma non già degli acquisti e molto meno della gloria, della quale rifulgevano solamente gli eroi, che se ne dicevano kleitói ovvero «chiari» da' greci, e «inclyti» da' latini (quali restarono le provincie dette «socie» da' romani); ed Esopo se ne lamenta nella favola della società leonina, come si è sopra detto. Perché certamente degli antichi germani, i quali ci permettono fare una necessaria congettura di tutti gli altri popoli barbari, Tacito narra che di tali famoli o clienti o vassalli quello «suum principem defendere et tueri, sua quoque fortia facta gloriæ eius adsignare, præcipuum iuramentum est»; ch'è una delle propietà più risentite de' nostri feudi.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





Antinoo Ulisse Enea Miseno Virgilio Enea Tritone Miseno Sibilla Enea Miseno Sibilla Esopo Tacito