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      Ma, se tal città de' sabini si disse Cere (lo che vogliono i latini gramatici), deono (qui vedasi che contorcimento d'idee!) più tosto esser i «ceriti», ch'erano cittadini romani condennati da' censori a portar i pesi senza aver alcuna parte degli onori civili; appunto come furono le plebi, che poi si composero de' famoli nel nascere, come or or vedremo, dell'eroiche città, nel corpo delle quali dovettero venir i sabini, in que' tempi barbari che le città vinte si smantellavano (lo che i romani non risparmiarono ad essa Alba, lor madre), e gli arresi si disperdevano per le pianure, obbligati a coltivar i campi per gli popoli vincitori: che furono le prime provincie, così dette quasi «prope victæ» (onde Marcio, da Corioli ch'aveva vinto, fu detto Coriolano); per l'opposto onde furon dette le «provincie ultime», perché fussero «procul victæ». Ed in tali campagne si menarono le prime colonie mediterranee, che con tutta propietà si dissero «coloniæ deductæ», cioè drappelli di contadini giornalieri menati, da su, giù; che poi nelle colonie ultime significarono tutto il contrario, ché, da' luoghi bassi e gravi di Roma, ove dovevan abitar i plebei poveri, erano questi menati in luoghi alti e forti delle provincie, per tenerle in dovere, a far essi i signori e cangiarvi i signori de' campi in poveri giornalieri. In cotal guisa, al riferire di Livio, che ne vide solamente gli effetti, cresce Roma con le rovine di Alba, e i sabini portano in Roma a' generi, in dote delle loro rapite figliuole, le ricchezze di Cere, come sopra ciò vanamente riflette Floro.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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