Per cotanta inegualità dovetter avvenire de' grandi movimenti e rivolte della plebe romana, le quali Fabio, con sappientissimo ordinamento, onde meritò il sopranome di Massimo, rassettò, con ordinare che tutto il popolo romano si ripartisse in tre classi, di senatori, cavalieri e plebei, e i cittadini vi si allogassero secondo le facultà; e consolò i plebei: perocché, quando, innanzi, que' dell'ordine senatorio, ch'era prima stato tutto de' nobili, vi prendevano i maestrati, indi in poi vi potessero passare ancora con le ricchezze i plebei, e quindi fusse aperta a' plebei la strada ordinaria a tutti gli onori civili.
Tal è la guisa che fa vera la tradizione che 'l censo di Servio Tullio (perché da quello se ne apparecchiò la materia e da quella ne nacquero l'occasioni) fu egli pianta della libertà popolare, come sopra si ragionò per ipotesi nell'Annotazioni alla Tavola cronologica, ov'è il luogo della legge Publilia. E tal ordinamento, nato dentro Roma medesima, fu invero quello che ordinovvi la repubblica democratica, non già la legge delle XII Tavole colà venuta da Atene: tanto che Bernardo Segni quella ch'Aristotile chiama «repubblica democratica», egli in toscano trasporta «repubblica per censo», per dire «repubblica libera popolare». Lo che si dimostra con esso Livio, che, quantunque ignorante dello Stato romano di quelli tempi, pur narra ch'i nobili si lagnavano avere più perduto con quella legge in città che guadagnato fuori con l'armi in quell'anno, nel quale pur avevano riportato molte e grandi vittorie.
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